L’etimologia della parola “empatia” deriva dal greco antico εμπαθεία (a sua volta composta da “en”, dentro, e “pathos”, sofferenza, sentimento) e vuol dire “sentire dentro”, entrare in sintonia emozionale con il vissuto dell’altro.
L’empatia è una capacità elastica, sta a noi scegliere la distanza giusta per riuscire ad esserci per l’altro senza perdere di vista noi stessi.
Nel romanzo David Copperfield, Charles Dickens ha scritto: “L’amore è fondamentalmente una relazione, non qualcosa che sta dentro una sola persona”.
L’empatia ha una base biologica, è una capacità insita nell’individuo fin dalla nascita e potenzialmente “allenabile” nella relazione con gli altri. La sintonizzazione emotiva con i genitori è il primo spiraglio che consente al bambino di sentirsi emotivamente compreso così da sviluppare la percezione che l’altro possa e voglia condividere i suoi sentimenti.
Come descritto dallo psicologo Martin Hoffman, possiamo distinguere un’empatia emotiva (capacità di sintonizzarsi con il vissuto emotivo dell’altro mantenendo la giusta distanza per poter essere d’aiuto), un’empatia cognitiva (capacità di comprendere razionalmente la prospettiva dell’altro) ed un’empatia motivazionale (motivazione che consente di agire per l’altro).
Lo psicologo Daniel Goleman ha inserito l’empatia tra le 5 competenze base dell’Intelligenza Emotiva. In ogni interazione vengono inviati segnali emozionali che influenzano le persone. In questo continuo contagio emozionale, più una persona è socialmente abile e maggiore sarà la sua capacità di modulare e controllare i segnali che emette.
L’allenamento dell’empatia e l’autoregolazione emotiva sono le chiavi alla base di una relazione sana. Eppure, per quanto sia forte il desiderio di entrare in connessione con gli altri, non sempre riusciamo a dare loro risposte appropriate alle emozioni che sperimentano. Per allenare l’empatia occorre innanzitutto riconoscere la navigazione della propria sfera emotiva. Connettersi con l’altro senza conoscere le proprie emozioni è come cercare di accendere una lampadina senza corrente.
Allenare la Flessibilità Empatica
Proviamo a partire da due piani che dovrebbero avere un andamento parallelo e continuo:
I care about myself (Io tengo a me stesso, Mi preoccupo per me stesso, Mi prendo cura di me stesso)
I care about you (Io tengo a te, Mi preoccupo per te, Mi prendo cura di te)
Per riuscire a prendersi cura delle esigenze emotive dell’altro, dobbiamo prima di tutto lavorare sulla cura di noi stessi. Il primo piano, “I care about myself”, riguarda l’addestramento alle competenze dell’intelligenza emotiva e alle strategie necessarie per “navigare” le proprie emozioni e gestire le situazioni di stress. Conoscere l’alfabeto delle emozioni, il modo in cui esse comunicano con noi e il messaggio che ci lasciano è tra le strategie più efficaci per renderle nostre alleate. Allearsi con le emozioni ci consente di non giudicarle e di trasformare l’energia che ne deriva in pensieri ed azioni utili alle nostre decisioni, comunicazioni e relazioni.
Il secondo piano, “I care about you”, riguarda l’allenamento dell’elasticità empatica attraverso l’ascolto attivo, il discernimento dell’emozione altrui e la sua comprensione. Prendersi cura delle esigenze emotive dell’altro vuol dire riuscire a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda emozionale. “ Ciò che capita a te mi riguarda, mi interessa, voglio comprenderlo”.
Comprendere vuol dire abbracciare la condizione dell’altro. Se ci limitiamo ad esaminare una persona dall’esterno senza metterci nei suoi panni, entrare nel suo vissuto, camminare nelle sua scarpe, nelle sue gioie e nelle sue paure, non arriveremo mai a comprenderla del tutto.
Giusta distanza
Possiamo empatizzare con l’altro senza essere necessariamente d’accordo con i suoi sentimenti, comprendere anche se non viviamo la stessa situazione, ma non possiamo empatizzare solo per soddisfare le aspettative altrui.
Porsi alla “giusta distanza”, stabilire come allungare o accorciare “l’elastico” della nostra empatia, essere autentici e protettivi (verso di sé e verso l’ altro), è fondamentale per riuscire ad avvicinarsi all’altro senza scottarsi. Una vicinanza eccessiva non è sempre sinonimo di una risposta empatica efficace. Con il giusto allenamento, si può imparare ad essere d’aiuto all’altro senza tornare a casa con le energie prosciugate da una distanza mal calibrata.
Neuroni specchio
Nel 1995, il neuroscienziato italiano Giacomo Rizzolatti ha scoperto l’esistenza dei neuroni specchio e la loro capacità d’influenzare il pensiero in chiave emulativa. Questi neuroni presiedono il nostro concetto di empatia; hanno la proprietà di metterci in sincronia emotiva con i nostri simili, sono implicati in una conoscenza esperienziale per cui ciò che fa l’altro, ciò che sente l’altro, fa risuonare ciò che so fare e che sento io.
Questo meccanismo biologico che crea un “ponte emotivo” con gli altri, è lo stesso che ci fa commuovere o gioire guardando un film; pur trattandosi di un evento che non ci riguarda direttamente, il nostro cervello entra in contatto con quella scena a tal punto da fare propria quella situazione, quell’emozione.
È stato dimostrato che il “meccanismo specchio” interessa sia il sistema motorio che i circuiti emozionali. Questo meccanismo innato di trasmissione emozionale può essere modificato o inibito dai genitori e dalla società, comportando una modifica sostanziale della capacità di sperimentare la propria capacità empatica.
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Bibliografia:
1. Leslie Brothers, “A biological perspective on empathy”, American Journal of Psychiatry, 146, 1, 1989.
2. Robert Levenson, Anna Ruef, “Empathy: a physiological substrate”, Journal of Personality and social psychology, 63, 2, 1992.
3. Martin L. Hoffman, “Empathy, social cognition, and moral action”, in “Moral behaviour and development: Advances in theory, research and applications” a cura di W. Kurtines, J Gerwitz, John Wiley and Sons, NY, 1984.
4. Ulf Dimberg, Monika Thunberg, “Empathy, emotional contagion, and rapid facial reactions to angry and happy facial expressions”, Psychology Journal, 2012.
5. Pier Francesco Ferrari, Giacomo Rizzolatti, “Mirror neuron research: the past and the future”, Philosophical transactions of the royal society of London, Bio-logical sciences, 2014.
6. Giacomo Rizzolatti, C. Sinigaglia, “The mirror mechanism: a basic principle of brain function”, Nature Reviews Neuroscience, 2016.
Silvia Iovine
Giornalista – Responsabile Ufficio Stampa D.O.S.E.®
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